| La colossale testa bronzea di Costantino (Musei Vaticani). La statua, forse del I sec., sarebbe stata poi riutilizzata da Costantino e distrutta fra il VI e il VII secolo |
La creazione della nuova capitale avrebbe spostato verso Est anche il baricentro economico dell'Impero, favorendo lo sviluppo urbano in particolare della penisola anatolica e della provincia galatica in essa contenuta. Se Diocleziano aveva inferto un colpo non indifferente all'Occidente finendo per disinteressarsene (e il suo ritiro nel Palazzo di Spalato, dove si sarebbe dato all'ozio e all'agricoltura, ne è la prova più significativa), Costantino sembra abbandonarlo al suo destino, preparando inconsapevolmente l'apertura delle porte ai barbari che di lì ad alcuni decenni avrebbero finito per colpire la Pars Occidentis direttamente al cuore.
| Icona con Elena e Costantino santi della Chiesa Ortodossa |
La presunta visione di Costantino nel corso di quella notte è il tema di «In hoc vinces» di Bruno Carboniero e Fabrizio Falconi (Edizioni Mediterranee, 2011). Costantino avrebbe visto in sogno il monogramma di Cristo accompagnato dalle parole «Τούτῳ νίκα» (Toúto níka, come riferisce Eusebio di Cesarea) o «Ἐν τούτῳ νίκα» (En toúto níka, come riferiscono altre fonti): rispettivamente «Con questo vinci» (intendendo Τούτῳ come dativo strumentale) e «In questo vinci» (En toúto è un complemento di stato in luogo figurato). Tali parole sarebbero state integrate con la menzione del signum nella corrispondente espressione latina «In hoc signo vinces» («In questo segno vincerai»). Costantino avrebbe dunque fatto imprimere quel signum sugli scudi dei suoi soldati i quali, pur numericamente inferiori rispetto a quelli di Massenzio, sarebbero stati i vincitori della battaglia di Ponte Milvio.
Com'è noto, la visione di Costantino è stata letta nel corso dei secoli sostanzialmente in due modi. La tradizione storiografica inaugurata da Lattanzio ed Eusebio di Cesarea – che ne riferiscono rispettivamente nel già citato «De mortibus persecutorum» e nella «Vita Costantini», sebbene non negli stessi termini, ma convergendo comunque sul particolare del sogno – ha individuato in essa semplicemente un evento miracoloso. La storiografia successiva ha invece letto generalmente nella visione nulla più di una fola costruita e diffusa ad arte dalla propaganda di regime – in cui gli scritti di Lattanzio e di Eusebio si inscrivono ovviamente a buon diritto – per giustificare la liceità e la necessità del potere costantiniano.
Alla luce della seconda e più razionale interpretazione, si spiegherebbero del resto gli utilitaristici tentativi costantiniani di assecondare la diffusione del Cristianesimo a partire dall'emanazione dell'Editto di Milano (313), con cui veniva concessa ai sudditi dell'Impero la libertà di professare qualsiasi religione, compresa quella cristiana. È noto che all'Editto di Milano seguì la cristianizzazione dell'Impero: furono costruite basiliche destinate alle cerimonie religiose cristiane, furono diffusi culti specifici (quello della Croce, per esempio, nella cui elaborazione assunse un ruolo fondamentale Elena), fu affermata l'ortodossia cattolica (per arginare certe derive ereticheggianti quali quella donatista) che trionfò nel Concilio di Nicea del 325. Tale concilio fu del resto fortemente voluto dallo stesso Costantino che così si ritagliava il ruolo di capo – latente ma poi non troppo – della neonata Chiesa Cattolica.
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| Il Casale di Malborghetto in una vecchia fotografia (si distinguono i fornici) |
| La Costellazione del Cigno |
Ricostruendo la mappa stellare di quella notte mediante ausilî digitali, gli autori hanno in essa notato una combinazione astronomica assolutamente rara ed inusuale per non essere percepita dall'osservatore dell'epoca come eccezionale: quella notte, in una porzione di cielo piuttosto limitata, erano ben visibili quattro pianeti onomasticamente legati al pantheon delle divinità romane e perfettamente allineati fra loro, nonché la costellazione dell'Aquila e la costellazione del Cigno. L'eccezionalità insita nella compresenza di tali corpi celesti poteva a buon diritto essere considerata un signum da chi, come Costantino, era solito tenere conto delle circostanze astronomiche e delle interpretazioni cui esse andavano soggette. Inoltre, se la costellazione dell'Aquila richiamava l'Impero romano in quanto l'aquila ne era il simbolo più acclimatato, la costellazione del Cigno presentava una conformazione perfettamente sovrapponibile a quella dello staurogramma: il simbolo ottenuto mediante la sovrapposizione dei due grafemi maiuscoli dell'alfabeto greco tau (T) e rho (P), usato dal 200 d. C. circa come monogramma di Cristo.L'ipotesi è certamente molto suggestiva ed in fondo verosimile, se è addirittura stata presa in considerazione da Marina Piranomonte, archeologa della Sovrintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, nel suo recente saggio «Costantino e i luoghi della battaglia. Ponte Milvio e l'arco di Malborghetto». Tuttavia gli stessi autori – con molta onestà intellettuale – tengono a sottolineare che appunto di ipotesi pura si tratta e che quanto da loro individuato non possiede di certo carattere dimostrativo.
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| Piero della Francesca «La visione di Costantino» Arezzo, Basilica di San Francesco, Cappella Bacci |
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| Fabrizio Falconi e Bruno Carboniero visibilmente ... sincronizzati |
«In hoc vinces» è un testo di taglio molto divulgativo, dotato anche di ampie inserzioni discorsive quasi a livello del colloquiale (come se Falconi e Carboniero dialogassero direttamente col lettore). Alla lettura integrale del libro si rimanda senz'altro anche per l'originalità dell'impostazione. Intanto non resta che attendere gli ulteriori sviluppi delle ricerche.
Ivo Flavio Abela
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