«Alcuni autori, parlando delle loro opere, dicono:
"Il mio libro, il mio commento, la mia storia ecc.".
Risentono del linguaggio dei loro concittadini borghesi
che hanno casa propria e ripetono sempre: "A casa mia".
Farebbero meglio a dire: "Il nostro libro, il nostro commento,
la nostra storia ecc.", dato che, di solito,
la nostra storia ecc.", dato che, di solito,
c'è in questi libri più roba altrui che propria»
Blaise Pascal, «Pensieri», 43
Gabriele Sabatini interpreta «Neurosi delle 7 e 47» |
Quasi alla conclusione del libro ecco «MeTaLlo EletTriCo (Metal Macbeth) Un delirio», anch'esso rivisitazione di una vicenda oltremodo nota e resa celebre da William Shakespeare. «Eccomi. La barba è fatta. La doccia pure. Le mutande cambiate. Sono pronto» dice Mister Macbet agli inizi della settima scena. «Me ne stavo per i fatti miei. Seduto al tavolo di un bar» aggiunge nell'incipit dell'ottava. La scossa elettrica, la macchina, il treno, l'aereo sono alcuni degli strumenti ipotetici di cui la diabolica coppia, formata dall'appena citato Mister Macbet e da Ladi Macbet, ipotizza di servirsi per ammazzare Lui (Duncan secondo la versione originale della vicenda), prima di ripiegare su un più tradizionale e rassicurante veleno. Gli stessi protagonisti hanno i nomi leggermente storpiati, come s'è visto, e alludono, mediante parole di registro basso, alla noia piombata nei loro rapporti sessuali. Nonostante, però, l'attualizzazione di cui sono prova i dettagli citati, la potenza drammatica del racconto di Ennio Speranza è notevole. Lo scarto tra la voluta prosaicità del linguaggio usato nei dialoghi, la caricaturale progettazione dell'omicidio e la riduzione pure di Duncan a una creatura insicura, quasi buffa nell'esternare vigliaccamente le proprie paure, da un lato, l'omicidio e la freddezza con la quale i due decidono di sbarazzarsi del cadavere, dall'altro, rendono ancora più palpabile e potente il senso della tragedia, del male cieco, delle ossessioni, dei delirî dei due. Peraltro, con una serie di pennellate melodrammatiche, Ennio Speranza porta sulla scena il sacco che dovrebbe contenere il cadavere di Lui. La memoria corre all'atto in cui Rigoletto, nell'omonima opera verdiana, trascina il sacco contenente quello che suppone il cadavere del Duca di Mantova, salvo poi scoprire che esso contiene la propria figlia agonizzante. Se l'opera verdiana si chiude sull'urlo del vecchio gobbo che riconosce il terribile valore della maledizione lanciatagli, nel corso del primo atto, da un padre la cui figlia è stata disonorata dal Duca, sul testo e sulla scena immaginata da Ennio Speranza scende lentamente il buio, cioè - se ancora non bastasse - altro male che finisce per fondersi con il vaneggiante canticchiare di Mister Macbet (come se il sonnambulismo della Lady Macbeth di un'altra opera celeberrima di Verdi fosse stato travasato da Ennio Speranza nel personaggio di Macbeth stesso). Speranza, del resto, ha accelerato i tempi dell'azione e semplificato l'intreccio della versione originale, rendendo l'omicidio di Duncan elemento unico attorno al quale ruota tutto il dramma, oltre il quale si verifica (variante non da poco rispetto alla versione nota) quello di Ladi Macbet, destinata fin dagli inizi della pièce a rimanere vittima delle proprie stesse macchinazioni e forse pure di una malata, torbida, volgare e a tratti annoiata intesa sessuale con Mister Macbet. Il brevissimo testo che conclude il libro, «L'estasi di santa Teresa. Uno studio», del resto torna a parlare in termini prosastici del sesso come opposto dell'estasi.
«Teatro ossessivo» trasmette a chi lo legge (anche e soprattutto a voce alta), e a chi - si può facilmente immaginare - ha la possibilità di assistere alla messinscena dei testi che lo compongono, la sensazione che Ennio Speranza abbia scritto una partitura musicale di forte impatto ritmico, nella quale la struttura delle battute contiene già in sé tutti i possibili segni convenzionali. In essa, inoltre, i numeri chiusi sono ridotti al minimo (resistono in qualità di vere e proprie arie in particolare nel «delirio» dei coniugi Macbet), non mancano le smorzature (il conto alla rovescia alla fine di «Neurosi delle 7 e 47» ne è un esempio che sconfina in un autentico morendo), né il "canto" a fior di labbro (si potrebbe immaginare che proprio a fior di labbro Mister Macbet rivolga alla sua Ladi parole appassionate prese a prestito da «Ne me quitte pas» di Jacques Brel. Del resto Speranza dà vita, nei suoi testi, a svariate intercettazioni). Tutto ciò avviene con l'ausilio di una volutamente grigia e asciutta koiné linguistica gestita con acume (e l'eleganza dello scrittore colto e poliedrico rimane comunque individuabile anche nei passaggi verbalmente più dozzinali). E poi Ennio Speranza ci offre «Teatro ossessivo» non accampando pretese di rigorosa applicazione: «Fate voi» ci dice con ironia quasi scanzonata.
Ivo Flavio Abela
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