Nel suo Lo snob nella società dello snobismo di massa (Oligo Editore, 2022), Gaetano Cappelli ci racconta di avere chiesto, mediante un post pubblicato sulla sua bacheca Facebook, chi fosse lo snob. Con una certa sorpresa, vista la quantità di risposte ricevute, ha dovuto concludere che essere snob non è affatto percepito come negativo. Tutt’altro. Perché lo snob è colui che, pur immerso nella massa (oggi) dei social, la rifugge, affrancandosi da cliché, da stereotipi, da “pensieri unici” (a ben vedere non ne esiste uno solo), da regole quali quelle imposte dal politically correct (efficacemente definito «la sharia dell’Occidente»). Ne vengono fuori gli snob di primo, secondo e terzo tipo (magnifico questo terzo tipo). Tale classificazione è il punto di approdo di una storia che Cappelli ricostruisce, facendola iniziare con William Makepeace Thackeray che, alla metà del XIX secolo, per primo usò il termine “snob”, poi enantiosemicamente giunto all’accezione che gli viene attualmente conferita.
Cappelli ha scritto un piccolo libro leggero, arguto, accattivante, sublimemente sferzante. Eppure alla base ci sono una nutrita e impegnata bibliografia e un approccio da sociologo della comunicazione (ovviamente) di massa. Anche se rimane il larvato sospetto che questo caleidoscopico sferzatore e arbiter elegantiarum abbia preso un po’ tutti per i fondelli, compreso se stesso (lo dice alla fine). Ma soprattutto noi.
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