Per
dirmi che sei fuoco (Gaffi Editore, 2012) è un bel romanzo
di Fabrizio Falconi. E fa piacere potere pronunciare le parole «è
un bel romanzo»
in un’epoca in cui si paventa la fine di un genere letterario che
avrebbe ormai esaurito tutto il suo potenziale. Il problema andrebbe
posto in altro modo: forse si è ristretta la quantità degli
scrittori in grado di tenere in vita il romanzo. Falconi è per
fortuna uno di loro. E sembra inutile affannarsi a cercare
scolasticamente (come spesso usano fare critici “veri” o
critici sedicenti) una tipologia di romanzo nella quale
inscrivere Per
dirmi che sei fuoco. Da
figli e allievi di Steiner, lasciamo
respirare e parlare il testo e la storia che esso veicola.
Nico,
ventitreenne, sta per laurearsi in Lettere con una tesi su Ungaretti.
Scopre che Francesco non è suo padre: Nico è nato per
fecondazione artificiale. Si reca in Olanda, presso la banca del
seme, e riesce ad ottenere i dati anagrafici del vero padre, Michele.
In Olanda conosce inoltre Brigitte che incolpevolmente provoca la
gelosia di Valentina (la fidanzata di Nico). Quest’ultima –
tornato il giovane a Roma – lo accompagna tuttavia fin sui monti
dell’Abruzzo. Nico scopre infatti che Michele vi suole trascorrere
lunghi periodi e decide di raggiungerlo. L’incontro con Michele non
è quello che Nico s’aspetta: Michele capisce chi è Nico, ma si
rivela freddo e invita Nico e Valentina ad andarsene. In realtà
Michele, don Chisciotte in lotta contro mulini a vento soltanto
apparentemente innocui, ha scoperto i traffici di una multinazionale
che cerca di occultare scorie altamente radioattive proprio fra quei
monti. Teme per l’incolumità propria e di chi gli sta vicino.
Nico
e Valentina tornano a Roma dove intanto è giunta anche Brigitte.
Nico accetta di incontrarla. La porta a mangiare una pizza, poi a
visitare una fiera, infine a dormire nella casa di Francesco.
All’alba Brigitte irrompe nella stanza in cui dorme Nico e gli dice
che Michele, coinvolto in un’esplosione, è ricoverato in
gravissime condizioni all’ospedale di Ancona. Brigitte aggiunge di
essere figlia di Michele. Nico e Brigitte si precipitano
all’ospedale di Ancona, dal quale Michele viene presto trasferito
in elicottero ad un altro ospedale di Roma per essere operato. Qui accorrono anche la madre di Nico, Valentina (che non ha più motivo
di vedere in Brigitte una rivale), la madre di Brigitte giunta
dall’Olanda. Nico e Brigitte riescono a vedere il padre in terapia
intensiva: un incontro breve ma significativo. Di lì a poco Michele muore,
strangolato da quella garrota il cui giro di vite
egli stesso ha in fondo contribuito ad azionare.
Giovanni Boldini, Lady Decies, 1905 |
E
poi? Poi ... leggiamo il romanzo non soltanto per conoscere il resto della storia, ma anche per comprendere il gioco dei destini
di cui Fabrizio Falconi manovra magistralmente i fili, riservando a Nico (e al
lettore) anche l’inatteso ritrovamento di due fotografie. Esse finiscono
per avere un senso quasi “entelechiale” rispetto
all’identità di Nico e alla passione che egli sente: la stessa che
pervase Ungaretti quando inaspettatamente incontrò Bruna Bianchi «in
un vestito rosso | Per dirmi che sei fuoco | Che consuma e
riaccende», “salvandolo” dallo sconforto.
Agli
inizi della lettura si ha l’impressione di trovarsi al cospetto di
un romanzo senza grandi pretese, caratterizzato da un registro
dimesso per lingua e stile. Ma la storia inizia subdolamente a
catturare il lettore. Poi si scopre che i toni dimessi delle pagine
incipitarie altro non sono che i segni di una fluida e gioiosa
leggerezza del narrare che si palesa sempre più man mano che si procede nella lettura: leggerezza di calviniana memoria. E
proprio a Calvino riporta l’atmosfera di un romanzo che è fatto di
lunghi viaggi notturni e diurni (Se una notte d’inverno un
viaggiatore). E poi – sebbene l’accostamento possa apparire
quantomeno azzardato – a due dei sei racconti che costituiscono «il
romanzo a episodi» (come
lo definì lo stesso autore) Altri libertini di Pier
Vittorio Tondelli (in particolare al racconto omonimo e
ad Autobahn). Perché in fondo il fiume sotterraneo
che bagna l’intrecco di Per dirmi che sei fuoco è
quello della ricerca: la ricerca – nella fattispecie – del padre e implicitamente di
un’identità che s’acquisisce solo quando l’uomo torna a ciò
da cui viene. O anche quando ritrova una parte di sé, come Ungaretti
che, stanco di limitarsi a cercarne «in
cielo ... il ... felice volto», torna in Brasile
per “rivedere” ciò che resta di Antonietto, il figlio
morto lì all’età di nove anni.
«Facciamoci
un nome per non essere dispersi sulla faccia di tutta la terra»
(Genesi 11.4)
riporta significativamente Fabrizio del resto in esergo, quasi a
indicare il valore profondo dell’appartenenza. Il vincolo
genetico è il canale attraverso cui l’essere – il modo di essere
– si travasa dal padre al figlio. Una volta avvenuto il passaggio,
il padre sparisce freudianamente dalla scena (viene ucciso, per dirla
ancora più freudianamente): non a caso Michele muore subito dopo che
Nico l’ha ritrovato. E quella che si vive dopo la morte del proprio
genitore è una seconda vita che può essere anche gioiosa, ma che
nasce dal dolore e dallo stridore provocato dalla saldatura di una
bara.
Ivo
Flavio Abela
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