martedì 7 agosto 2012

Ricerca, dolore, rinascita in «Per dirmi che sei fuoco» di Fabrizio Falconi

Per dirmi che sei fuoco (Gaffi Editore, 2012) è un bel romanzo di Fabrizio Falconi. E fa piacere potere pronunciare le parole «è un bel romanzo» in un’epoca in cui si paventa la fine di un genere letterario che avrebbe ormai esaurito tutto il suo potenziale. Il problema andrebbe posto in altro modo: forse si è ristretta la quantità degli scrittori in grado di tenere in vita il romanzo. Falconi è per fortuna uno di loro. E sembra inutile affannarsi a cercare scolasticamente (come spesso usano fare critici “veri” o critici sedicenti) una tipologia di romanzo nella quale inscrivere Per dirmi che sei fuoco. Da figli e allievi di Steiner, lasciamo respirare e parlare il testo e la storia che esso veicola.

Nico, ventitreenne, sta per laurearsi in Lettere con una tesi su Ungaretti. Scopre che Francesco non è suo padre: Nico è nato per fecondazione artificiale. Si reca in Olanda, presso la banca del seme, e riesce ad ottenere i dati anagrafici del vero padre, Michele. In Olanda conosce inoltre Brigitte che incolpevolmente provoca la gelosia di Valentina (la fidanzata di Nico). Quest’ultima – tornato il giovane a Roma – lo accompagna tuttavia fin sui monti dell’Abruzzo. Nico scopre infatti che Michele vi suole trascorrere lunghi periodi e decide di raggiungerlo. L’incontro con Michele non è quello che Nico s’aspetta: Michele capisce chi è Nico, ma si rivela freddo e invita Nico e Valentina ad andarsene. In realtà Michele, don Chisciotte in lotta contro mulini a vento soltanto apparentemente innocui, ha scoperto i traffici di una multinazionale che cerca di occultare scorie altamente radioattive proprio fra quei monti. Teme per l’incolumità propria e di chi gli sta vicino.

Nico e Valentina tornano a Roma dove intanto è giunta anche Brigitte. Nico accetta di incontrarla. La porta a mangiare una pizza, poi a visitare una fiera, infine a dormire nella casa di Francesco. All’alba Brigitte irrompe nella stanza in cui dorme Nico e gli dice che Michele, coinvolto in un’esplosione, è ricoverato in gravissime condizioni all’ospedale di Ancona. Brigitte aggiunge di essere figlia di Michele. Nico e Brigitte si precipitano all’ospedale di Ancona, dal quale Michele viene presto trasferito in elicottero ad un altro ospedale di Roma per essere operato. Qui accorrono anche la madre di Nico, Valentina (che non ha più motivo di vedere in Brigitte una rivale), la madre di Brigitte giunta dall’Olanda. Nico e Brigitte riescono a vedere il padre in terapia intensiva: un incontro breve ma significativo. Di lì a poco Michele muore, strangolato da quella garrota il cui giro di vite egli stesso ha in fondo contribuito ad azionare.

Giovanni Boldini, Lady Decies, 1905
E poi? Poi ... leggiamo il romanzo non soltanto per conoscere il resto della storia, ma anche per comprendere il gioco dei destini di cui Fabrizio Falconi manovra magistralmente i fili, riservando a Nico (e al lettore) anche l’inatteso ritrovamento di due fotografie. Esse finiscono per avere un senso quasi “entelechiale” rispetto all’identità di Nico e alla passione che egli sente: la stessa che pervase Ungaretti quando inaspettatamente incontrò Bruna Bianchi «in un vestito rosso | Per dirmi che sei fuoco | Che consuma e riaccende», “salvandolo” dallo sconforto.

Agli inizi della lettura si ha l’impressione di trovarsi al cospetto di un romanzo senza grandi pretese, caratterizzato da un registro dimesso per lingua e stile. Ma la storia inizia subdolamente a catturare il lettore. Poi si scopre che i toni dimessi delle pagine incipitarie altro non sono che i segni di una fluida e gioiosa leggerezza del narrare che si palesa sempre più man mano che si procede nella lettura: leggerezza di calviniana memoria. E proprio a Calvino riporta l’atmosfera di un romanzo che è fatto di lunghi viaggi notturni e diurni (Se una notte d’inverno un viaggiatore). E poi – sebbene l’accostamento possa apparire quantomeno azzardato – a due dei sei racconti che costituiscono «il romanzo a episodi» (come lo definì lo stesso autore) Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli (in particolare al racconto omonimo e ad Autobahn). Perché in fondo il fiume sotterraneo che bagna l’intrecco di Per dirmi che sei fuoco è quello della ricerca: la ricerca – nella fattispecie – del padre e implicitamente di un’identità che s’acquisisce solo quando l’uomo torna a ciò da cui viene. O anche quando ritrova una parte di sé, come Ungaretti che, stanco di limitarsi a cercarne «in cielo ... il ... felice volto», torna in Brasile per “rivedere” ciò che resta di Antonietto, il figlio morto lì all’età di nove anni.

«Facciamoci un nome per non essere dispersi sulla faccia di tutta la terra» (Genesi 11.4) riporta significativamente Fabrizio del resto in esergo, quasi a indicare il valore profondo dell’appartenenza. Il vincolo genetico è il canale attraverso cui l’essere – il modo di essere – si travasa dal padre al figlio. Una volta avvenuto il passaggio, il padre sparisce freudianamente dalla scena (viene ucciso, per dirla ancora più freudianamente): non a caso Michele muore subito dopo che Nico l’ha ritrovato. E quella che si vive dopo la morte del proprio genitore è una seconda vita che può essere anche gioiosa, ma che nasce dal dolore e dallo stridore provocato dalla saldatura di una bara.

Ivo Flavio Abela

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