sabato 6 luglio 2013

In morte di Ludovico Ariosto (6 luglio 1533)

Tiziano
«Presunto ritratto di Ludovico Ariosto»
Londra, National Gallery
Oggi - nel 1533 - a Ferrara morì Ludovico Ariosto. Il suo «Orlando furioso» è poema straordinario e unico. In quanto tale, può essere letto ex abrupto: ce lo ricorda Italo Calvino che invita a demolire il vecchio luogo comune secondo cui sarebbe necessariamente propedeutico leggere l'«Orlando innamorato» (e magari anche l'intero ciclo carolingio) prima del capolavoro ariostesco (cfr. «Introduzione» a «Orlando furioso raccontato da Italo Calvino», Torino, Einaudi, 1970, pp. XVIII e segg.).

Con l'«Orlando furioso» Ludovico Ariosto sceglie di riprendere la trama boiardesca dell'«Orlando innamorato» (poema rimasto incompiuto a causa della morte dell'autore). E se Boiardo (si ricordi il «Prologo» dell'«Innamorato») ha concentrato la propria attenzione sull'amore di Orlando per Angelica (aspetto inedito che - nella finzione boiardesca - lo stesso Turpino, l'arcivescovo di Reims reputato cronachista delle imprese orlandiane, ha taciuto per decoro - sempre secondo il Boiardo), Ariosto si spinge oltre e ci presenta un Orlando non solo innamorato, ma addirittura impazzito per amore.

Emblematico l'episodio in cui Orlando, errando nudo, rivede Angelica in compagnia del marito Medoro. Angelica - accortasi di lui - giunge a mettere in bocca l'anello fatato per rendere se stessa invisibile e sottrarsi così alla folle, gelosa e possessiva pressione di Orlando che sfoga dunque la sua frustrazione stremando la sua cavalla.

E se il poema, in cui la materia è trattata con vivacità, freschezza, entusiasmo, ironia, nitore linguistico e stilistico, è lo specchio sulla cui superficie si riflette la civiltà della corte rinascimentale (aristocratica e classicista), esso è anche lo specchio delle contraddizioni "percepite" da Ariosto. La stessa pazzia di Orlando è cifra della consapevolezza ariostesca relativa al fatto che - sebbene il Rinascimento abbia ridato all'uomo centralità e autonomia, facendone l'arbitro di se stesso - qualcosa sfugge sempre e comunque al dominio dell'uomo. Non è un caso del resto che proprio nel Rinascimento venga riproposto il problema della Fortuna. Lo stesso spregiudicato (in verità soltanto realista) Machiavelli riserva un ruolo ben definito alla Fortuna nel celeberrimo «Il Principe» (forse facendosi portavoce dello sgomento che ha sconvolto gli animi in seguito alla morte di Lorenzo il Magnifico, con tutte le conseguenze che essa ha implicato).

Analogamente, nella descrizione del secondo castello di Atlante e nella narrazione del viaggio sulla Luna di Astolfo per recuperare il senno di Orlando appare trasfusa l'insicurezza esistenziale di quell'aristocrazia e di quegli spiriti che pur vivono fra gli agi e le bellezze della corte. In fondo non aveva lo stesso Lorenzo de' Medici già invitato tutti ad essere lieti oggi dal momento che «del doman non v'è certezza»?.

Ivo Flavio Abela

Battista Dossi, «Notte» (o «Sogno»)
1544
Staatliche Kunstsammlung, Gemäldegalerie Meister Alte, Dresda

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