domenica 25 aprile 2021

Eros e trauma in «La quercia di Bruegel» di Alessandro Zaccuri

Nel bosco degli scrittori, originale collana di Aboca, si dà agio «agli scrittori più interessanti e consapevoli del nostro panorama letterario di raccontare il mondo, il loro e il nostro, proprio a partire da un albero» afferma l’editore. Alessandro Zaccuri (di cui s’è già parlato su questo blog a proposito del suo bellissimo Lo spregio. Cfr. https://ivoflavio-abela.blogspot.com/2017/11/lo-spregio-di-alessandro-zaccuri-ovvero.html?m=0) ha scelto La quercia di Bruegel (2021), offrendoci ancora un saggio di una capacità narrativa che – sempre raffinata – risulta poliedrica perché ogni volta diversa a seconda del tema (non è la stessa del citato Lo spregio o di Nel nome o ancora di Come non letto, per citare solo qualche titolo di Zaccuri). E qui il tema vero non mi sembra Bruegel il Vecchio, la cui arte si riduce a un pretesto, ma l’eros – delicatamente ritratto – di un ménage à trois.

Il protagonista di La quercia di Bruegel narra in prima persona senza mai rivelare il proprio nome. Forse è uno degli scrittori che Zaccuri immagina di essere o comunque cui ha affidato una parte di sé. Il narratore, infatti, racconta di avere sempre scritto nascondendosi sotto identità fittizie, in base allo scopo e al tema di ogni libro poi pubblicato. Forse Zaccuri s’è immaginato attore di un’avventura, ad alimentare la cui forza contribuiscono un attentato terroristico, il dramma personale di un paziente che ha vissuto un forte trauma, l’eros. Che quest’ultimo sia fortemente presente nel testo ce lo provano le righe in cui il narratore accenna alla possibilità di rotolarsi su un letto con la neurologa Matilde Rovani, la carnalità della donna non più giovane ma ancora attraente, la menzione di L’origine du monde di Gustave Courbet. Anzi sembra quasi che su tale dipinto egli abbia strategicamente dirottato il desiderio in lui suscitato dall’incontro con Matilde. Per non dire poi di alcuni elementi vagamente voyeuristici contenuti – molto più avanti – nelle pagine ambientate al museo. Qui il protagonista si fa da parte per discrezione: vuole che la neurologa e il suo compagno possano visitare da soli le sale dell’edificio per godersene indisturbati le opere. Eppure non li perde di vista e ne spia i movimenti.

Peter Bruegel il Vecchio
I cacciatori nella neve
Vienna, Kunsthistorisches Museum


Nel turbinio delle battute di dialogo scambiate a un tratto con un confidenza quasi ammiccante, della visione condivisa di riproduzioni di opere d’arte riprodotte in bianco e nero, della ricerca in esse di dettagli appannati e addirittura quasi invisibili all’occhio, mi sembra di potere ravvisare le fasi di un gioco erotico che genera desiderio soprattutto mediante l’atto del vedere. L’albero fa il resto, se pensiamo al suo valore nella simbologia psico-analitica. Massimo, il paziente al cui caso la neurologa lavora, vede solo l’albero anche dove apparentemente non c’è. Come s’è già accennato, ha subito un trauma da cui è scaturita una patologia che potrà essere risolta solo in parte. Riconosce poco e nulla quando vede immagini. Eppure individua sempre l’albero, anche quando esso è impercettibile. Forse per lui esso è il simbolo di quella energia erotico-affettiva che può salvarlo? Sembrerebbe di sì. Non credo sia un caso il fatto che il rapporto con la terapeuta si trasformi presto in una relazione sentimentale che appaga entrambi. Il narratore, sebbene non lo ammetta e anzi faccia di tutto per non risultare invadente, sembra invidiare siffatto idillio di coppia. Eppure ne fa parte: viene accolto con cordialità da un per nulla geloso Massimo, che anzi gli manifesta stima e interesse. In fondo questo delicato ménage à trois sembra la situazione ideale in cui rifugiarsi per dimenticare finalmente l’orrore del terrorismo.

Un racconto come La quercia di Bruegel affascina perché è bello “giocare” con uno scrittore coltissimo e raffinato, capace di una prosa limpida e luminosa, ma anche di intrecci a volte gradevolmente spiazzanti.

Ivo Flavio Abela

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