mercoledì 20 ottobre 2010

L'ipertesto. Una forma di testualità poi non così nuova

Il titolo del presente intervento si ispira ad alcune pagine de L’ipertesto. Tecnologie digitali e critica letteraria di George Landow (Bruno Mondadori, 1998, 59-77). In un’epoca in cui l’ipertesto iniziava la massiccia invasione di ogni campo dell’attività umana, lo studioso sosteneva che la flessibilità, l’apertura e la reticolarità dei collegamenti elettronici stessero dando vita a una concezione di testualità multipla o di ipertestualità complessa che avrebbe costituito di fatto una nuova forma di testualità e scrittura. Oggi il passo sembra ormai essere stato compiuto del tutto. Con l’obiettivo di far emergere le implicazioni semiotiche, cognitive ed estetiche dell’uso dell’ipertesto, ne verranno di seguito analizzati l’essenza, il funzionamento e la logica e ne sarà brevemente tracciata la storia delle applicazioni.


1. L’essenza, il funzionamento e la logica dell’ipertesto


Tutti sappiamo ovviamente che cosa sia un ipertesto. Tuttavia appare utile fornirne comunque una breve descrizione che ne metta a fuoco soprattutto le caratteristiche tecniche: queste ultime infatti determinano la differenza fra l’ipertestualità digitale e quella cartacea.

Il termine hypertext fu coniato da Ted Nelson nel 1965 con il significato di «non-sequential writing» (A File Structure for the complex, the Changing and the Indeterminate, 20th National Conference, New Jork, Association for Computing Machinery, 1965). L’ipertesto consente modalità di lettura diverse da quelle del testo scritto o stampato su carta. È registrato su memoria magnetica ed è costituito da sottounità ipertestuali definite nodi. Da ogni nodo si può accedere ad un altro nodo mediante un link, un insieme di istruzioni che, in sede di realizzazione dell’ipertesto, rendono noto al programma ipertestuale quali nodi l’autore voglia legare fra loro. La possibilità di estensioni multimediali, che si traduce nell’incorporazione di brani musicali, testi orali registrati, immagini fisse e in movimento, trasforma l’ipertesto in un prodotto che i puristi della terminologia informatica preferivano chiamare ipermedia. L’introduzione del termine originale hypermedia, plurale per indicare anche il singolare, è attribuita pure a Nelson (http://www.w3.org/WhatIs.html). È ormai invalsa la tendenza a usare ‘ipertesto’ e ‘ipermedia’ sinonimicamente, sebbene ‘ipertesto’ abbia ormai quasi del tutto soppiantato ‘ipermedia’.
 
I nodi non sono disposti in ordine lineare o sequenziale, ma organizzati in forma reticolare: il fruitore è libero di legarli a suo piacimento, sebbene sia limitato dal numero dei nodi stessi e dal modo in cui sono stati linkati fra loro dall’autore in sede di realizzazione. L’organizzazione logica dei dati registrati sul supporto digitale è indicata con l’espressione ‘strutture di dati’. Le strutture di dati possono essere di tre tipi: ‘lineare’, ‘ad albero’ (o ‘gerarchica’) e ‘a rete’. A ben vedere, le strutture di dati ricalcano le tre tipologie di labirinto individuate da P. Rosenstiehl [Labirinto (s.v.) in Enciclopedia Einaudi]:

  • Labirinto unicursale. Sembra un groviglio inestricabile, ma non lo è in quanto può essere percorso in una sola direzione. Non implica dunque possibilità alcuna di perdersi. Iconicamente può essere rappresentato dalle immagini di un serpente e di una fune aggrovigliati su se stessi.
  • Labirinto arborescente. È composto da bivi. Per uscirne bisogna scegliere di percorrere una delle due diramazioni a cui ogni bivio dà accesso, tornare indietro, percorrere la diramazione non scelta in prima istanza e ripetere l’operazione tante volte quanti sono i bivi.
  • Labirinto ciclomatico. A rete. Un numero più o meno congruo di passaggi trasversali lega una diramazione all’altra con la conseguente delimitazione di isole – i cicli appunto – intorno alle quali si può girare all’infinito. Il rischio di perdersi è altissimo, a meno che l’esploratore non abbia preventivamente tracciato alcuni segni all’entrata e all’uscita dei corridoi per poter agevolmente ricostruire il percorso già compiuto.

La scelta del tipo di struttura di dati dipende dalla relazione che il programmatore intende creare fra i dati stessi. Il supporto digitale è completamente indifferente alla struttura scelta: qualsiasi tipo di relazione venga istituita fra i dati, essa opera a livello logico e non fisico. Ciò è tecnicamente possibile in quanto il sistema ipertestuale di archiviazione e reperimento dei dati si basa su dispositivi di memoria ad accesso casuale (random access). Essi consentono di raggiungere direttamente ogni singolo dato memorizzato senza scorrere tutti quelli memorizzati prima, come invece impongono i dispositivi ad accesso seriale (serial access. Si veda anche F. J. GALLAND, Dictionary of Computing, Windsor, Datology Press, 1982, trad. it. Dizionario del calcolatore, Milano, Hoepli, 1986). Nei dispositivi di memoria ad accesso casuale le singole porzioni magnetizzate, che il computer riconosce come contenitori in cui depositare e da cui recuperare i dati, costituiscono lo spazio fisico della memoria; la relazione istituita fra i dati dislocati in ordine casuale sul supporto digitale costituisce invece lo spazio logico della memoria e prende forma sullo schermo del computer (l’importanza del supporto fisico della comunicazione si trova già in W. J. ONG, Orality and Literacy. The Technologizing of the Word, London & New Jork, Methuen, 1982, trad. it. Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna, Il Mulino, 1986).

La distinzione fra spazio logico e spazio fisico della memoria determina la differenza fra testo cartaceo e ipertesto. Nel testo cartaceo lo spazio fisico impone l’organizzazione dei dati secondo l’ordine lineare delle pagine, anche se il lettore decide di fruirne secondo un’organizzazione logica non sequenziale grazie alle note, ai rimandi e agli indici, mettendo dunque in atto una vera e propria lettura ipertestuale. La consultazione di un’enciclopedia, per esempio, è una lettura ipertestuale cartacea a tutti gli effetti, in quanto ogni voce rappresenta un nodo testuale e contiene link ad altre voci, ma sempre sulla base di un ordinamento precedente alla lettura, per quanto debole ed esterno, che è quello alfabetico. L’Enciclopedia Einaudi, per esempio, fu concepita proprio come una rete di nodi concettuali. Simile è la consultazione di un vocabolario. A questo proposito R. Simone nota che «un vocabolario sembra, all’occhio superficiale, una lista di parole alfabeticamente ordinate. In realtà non è affatto una lista: è una rete di parole e di significati, in cui ogni maglia è legata, direttamente o indirettamente, alle altre (…). Questa rete non è fatta di fili rigidi, ma di fili elastici (…). Poche parole sono formalmente isolate in un vocabolario. Tutte le altre sono collegate (…) ad altre. Ma la rete è ancora più vistosa dal punto di vista del significato» (Maistock. Il linguaggio spiegato da una bambina, Firenze, La Nuova Italia, 1988, 160-162). È ipertestuale anche la lettura di tutti quei testi narrativi in cui la trattazione degli eventi è realizzata da diverse prospettive, in cui si operano sbalzi cronologico-spaziali o in cui si affiancano e sovrappongono diversi piani narrativi. M. Gineprini nota in questo senso che «la lettura di un testo narrativo è tanto più piacevole ed interessante quanto alto è il suo tasso di ipertestualità» (M. GINEPRINI, Ipertesti narrativi elettronici, da http://www.onlynx.it/, articolo pubblicato il 16-06-2001).

In breve, esistono un’ipertestualità elettronica e una cartacea. Entrambe consentono infinite letture: l’ordinamento logico delle sottounità testuali è infatti deciso di volta in volta dal lettore durante i percorsi di lettura e non prima. Nell’ipertestualità cartacea è però implicito il riferimento a una lettura principale che incarna la sequenzialità del testo, elemento assente in quella elettronica. Paradossalmente la sequenzialità esiste anche nell’ipertestualità elettronica. È una sequenzialità virtuale: non elemento fisico come in quella cartacea, ma parte logica integrante della reticolarità nella misura in cui un tratto o una sequenza assumono le caratteristiche di un percorso possibile fra i tanti a cui la reticolarità stessa dà accesso.

Pochi programmi ipertestuali consentono di tenere traccia delle letture effettuate offrendo nel contempo al fruitore la possibilità di confrontarle e optare definitivamente per quella più consona alle proprie esigenze. Quasi inesistenti quelli che prevedono un’azione diretta del lettore esplicantesi nell’aggiunta, nella sottrazione e nella modifica di nodi e link. Sembra dunque che i confini fra l’identità dell’autore e quella del lettore ipertestuale siano ancora ben definiti a differenza di quanto auspicato dalla logica della coppia nodo-link. In altri termini sono ancora ben distinte l’identità dell’autore, che nel corso della progettazione e della realizzazione dell’ipertesto stabilisce il margine di intervento concesso al lettore, e quella appunto del lettore, la cui autorialità si riduce alla libertà di scegliere diversi percorsi di lettura che, spento il computer, svaniscono nel nulla. Domina il senso della chiusura negli ipertesti in circolazione: essi contengono informazioni fisse, a volte soltanto aggiornabili direttamente dal sito dell’editore. In simili prodotti la lettura ipertestuale diventa una ripetizione sul supporto digitale delle operazioni che un lettore competente compie su quello cartaceo trasformandolo in una struttura aperta: attraversare i nodi e connetterli fra loro «secondo procedure che associano l’attività del “significare” a quella del “cucire”» (R. MARAGLIANO, Nuovo manuale di didattica multimediale, Bari, Laterza, 2001, 10-11). Internet, ipertesto degli ipertesti, consentirebbe talvolta di fare di più.


2. Breve storia delle applicazioni ipertestuali


A partire dagli anni ’70 del secolo scorso la logica della coppia nodo-link fu gradualmente applicata su larghissima scala a discipline fino ad allora assolutamente impermeabili alla tecnologia e introdotta nell’ambito accademico anglosassone per sposare letteratura e informatica nel tentativo di attualizzare la prima e nobilitare la seconda.

Iniziarono a proliferare edizioni ipertestuali di classici della letteratura come Tennyson, Joyce, Faulkner che riportano, insieme ai testi delle opere letterarie, abbozzi preparatori, indicazioni relative alle fonti, dati biografici, dati bibliografici, materiale iconografico. Ad esempio in Hyperwake, ipertesto relativo a Finnegans wake 6.13-28 (elaborato da Fritz Senn della Zurich James Joyce Foundation a partire dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso e presentato nel 1991 al Zurich June Festival. Una completa versione HTML è stata pubblicata sul sito http://www.trentu.ca/jjoyce/), si può accedere dal testo-base all’ascolto delle ballate popolari che ispirarono Joyce, alla lettura di passi biblici e danteschi tenuti presenti dall’autore nella creazione di metafore e giochi di parole, all’ascolto di porzioni di testo lette da diversi attori, alla fruizione degli autografi delle edizioni precedenti.

Iniziarono ad essere prodotti veri e propri romanzi ipertestuali destinati ad essere letti soltanto sullo schermo del computer. La struttura delle loro trame è ovviamente reticolare: impossibile talvolta riconoscervi le fasi canoniche del testo narrativo di tradizione (situazione, complicazione, peripezia e scioglimento). Non più fabula dunque, ma intreccio puro e variabile da lettura a lettura. Il primo romanzo ipertestuale fu Afternoon di Michael Joyce (una recensione ad Afternoon può essere letta su http://www.eastgate.com/catalog/Afternoon.html. Notizie su altri prodotti dello stesso autore su http://www.eastgate.com/people/Joyce.html).

La logica della coppia nodo-link fu presto applicata alla musica. Singolare fu l’esperimento compiuto dalla casa discografica EMI Classics che, rispettivamente nel 1996 e nel 1998, pubblicò La bohème di Giacomo Puccini e Roméo et Juliette di Charles Gounod su supporti digitali indicati, nel cofanetto contenente La bohème, con l’espressione enhanced compact discs. Questi ultimi, se inseriti in un lettore cd-rom, danno accesso a un ipertesto contenente il libretto delle due opere, una quantità esigua di note biografiche relative ai due compositori, alcune informazioni su precedenti edizioni discografiche (con possibilità di ascolto di brevi clip audio) e pochissime immagini. Si può ipotizzare che la EMI intendesse principalmente offrire al fruitore la “comodità” di leggere il libretto sul monitor del computer in fase di ascolto, dato che lo spazio riservato agli altri materiali è alquanto limitato. Molti furono gli acquirenti: verosimilmente attirati, come rivelarono i sondaggi pubblicati sulle riviste specializzate, dai nomi stellari dei componenti i due cast e non certo da un’operazione che avrebbe inchiodato i fruitori davanti al monitor per un arco di tempo compreso fra le due e le tre ore e mezza.

Seguì l’iniziativa di alcune accreditate riviste di musica classica che solevano allegare ad alcuni numeri un cd-rom contenente poche tracce musicali ascoltabili mediante il lettore cd audio. Valga come esempio l’enhanced compact disc «An introducing to gmn.com» allegato al numero 77/1999 della rivista inglese Gramophone. Una valutazione del gradimento riscosso da simili cd-rom è viziata dalla loro appartenenza alla categoria degli “omaggi” imposti all’acquirente. L’iniziativa segna comunque un passo indietro nell’evoluzione che ha portato il calcolatore elettronico a diventare multimediale in quanto reintroduce la separazione fra media: il computer per la fruizione dei contenuti ipermediali e il lettore cd audio dell’hi fi per le tracce musicali. Si potrebbe obiettare che queste ultime possono comunque essere ascoltate mediante il lettore cd-rom del computer: in questo caso non sarebbe possibile fruire contemporaneamente dei contenuti ipermediali.

Sebbene fuori dall’ambito accademico anglosassone la modalità ipertestuale si fosse principalmente concretizzata nella realizzazione di enciclopedie in cd-rom e nell’incremento della rete Internet, fatte salve le eccezioni “musicali” appena discusse, tentativi di sposare informatica e letteratura furono comunque compiuti anche in Italia.
Alla fine degli anni ‘80 fu elaborata l’edizione elettronica de La bottega dell’antiquario di Goldoni (si veda L. TOSCHI, L’archivio elettronico C. Goldoni: un caso di filologia applicata, in Calcolatori e Scienze umane 1992), cui seguì, in prospettiva didattica, Sei racconti in ipertesto, un’antologia ipertestuale per l’esplorazione di sei generi narrativi: d’avventura, giallo, comico, fantascientifico, realistico, fantastico [(G. MARTINI e D. CORCIONE (a cura di), Sei racconti in ipertesto, Torino, SEI, 1993 (in dischetto)]. Nell’aprile del 1993, in occasione del convegno per i trent’anni del Gruppo 63, furono presentati a Reggio Emilia il primo romanzo ipertestuale italiano, Ra-Dio di Lorenzo Miglioli (http://asalt.tripod.com/b_miglioli01_trad.htm) e la traduzione di Afternoon di Michael Joyce.

Nel maggio 2000 la rivista di informatica PC Open allegò al numero 51 un cd-rom contenente non la solita rosa di software free o in versione trial, bensì la versione ipermediale de La divina commedia prodotta nel 1997 da Multimedia Hochfeiler. Programmaticamente emblematico il sottotitolo Il poeta, l’uomo, l’epoca, i personaggi. Esso raggruppa in quattro ambiti contenutistici i nodi linkati al testo dantesco. Il cd-rom contiene inoltre cinquanta minuti di versi recitati da ascoltare «anche su cd audio». La singolarità dell’iniziativa non risiede nel prodotto in sé, ma nel suo promotore: una rivista di informatica rivolta a un target culturalmente eterogeneo di cacciatori di novità informatiche. È singolare anche la scelta di un’opera letteraria ostica a tantissimi italiani, ai quali viene ormai raccomandato dal ministro Tremonti di usare Dante per imbottirsi il panino (sic!).


3. Riflessioni

L’‘antropologa del cyberspazio’ Sherry Turkle ha trasfuso nel suo La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni nell’epoca di Internet (Apogeo, 1997, in particolare 3-35) alcune singolari riflessioni. L’ipertesto risponderebbe alle caratteristiche che la studiosa ritiene tipiche dell’estetica postmoderna. Riflette infatti la rinegoziazione dei confini fra il reale e il non reale determinata dalla relazione fra l’uomo e il computer e le logiche della navigazione e della simulazione, non della riflessione e del calcolo. È concepito da un io frammentato e simultaneamente presente in tanti contesti quante sono le finestre aperte sullo schermo del computer, un io talmente interconnesso con la tecnologia da rendere impossibile la distinzione fra ciò che è realmente umano e ciò che non lo è. Le macchine diventano oggetti psicologici e gli uomini macchine viventi al punto che è difficile rispondere alla domanda: «Stiamo vivendo la vita sullo schermo o nello schermo?».

Forse che l’ipertesto non è altro che la forma in cui sta concretizzandosi il recupero di modalità cognitive e costruttive della conoscenza vecchie quanto l’uomo, con buona pace anche della Turkle?


Ivo Flavio Abela

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