lunedì 2 agosto 2010

Ricordi girgentani

Catania.
Ex Monastero dei Benedettini,
sede della Facoltà di Lettere.
Scalone d'ingresso
Era l’ultima settimana dell’agosto del 2003. Quella mattina mi ero recato a Catania per chiudermi nella Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia (ex Monastero dei Benedettini). Mi servivano alcuni saggi di Italianistica e di Scrittura Professionale per una relazione che stavo preparando in vista del colloquio finale di un Master che frequentavo. Giunto in Biblioteca, non trovai esattamente ciò che mi serviva (complice l’assenza di volontà di lavorare seriamente) e fui in grado di fotocopiare ben poco: trovarmi nella deserta Biblioteca di una Facoltà semideserta mi rattristava. Piuttosto deluso — e con una buona dose di senso di colpa — rientrai a Gela intorno alle 16:00 e trovai deserta pure casa mia (i miei genitori avevano preferito recarsi nella casa di Piazza Armerina per qualche giorno).


Palma di Montechiaro (AG).
Chiesa Madre
(nota anche come Chiesa del Gattopardo)
Mi giunse improvvisamente la telefonata di un amico agrigentino: mi invitava a raggiungerlo quello stesso pomeriggio ad Agrigento in vista di un evento serale che avrebbe preso forma al Kaos. Una compagnia teatrale avrebbe interpretato passi dell’opera pirandelliana lungo il sentiero che unisce la piazzola antistante l’ingresso della casa natale di Pirandello e la pietra tombale che ne contiene le ceneri; sarebbe seguita una cena all’aperto proprio davanti alla casa. Decisi di accettare l'invito e partii. Durante il viaggio mi accarezzava l’udito la voce di Mariella Devia impegnata nell’allora alquanto recente «Lucrezia Borgia» scaligera, di cui avevo procurato la registrazione digitale. La vertiginosa coloratura cui il soprano deve sottostare nel finale dell’opera (tesa a rendere il rimorso e il dolore di Lucrezia al cospetto del cadavere del figlio e preannunciante la sua stessa morte) si fuse a un tratto con l’immagine della cosiddetta Chiesa del Gattopardo di Palma di Montechiaro, a sud della quale mi toccò passare immediatamente prima di raggiungere Agrigento.

Agrigento. Villa Athena
(veduta dal Tempio della Concordia)
Quella notte, dopo lo spettacolo e la cena al Kaos, sarei rimasto estasiato alla vista che mi si sarebbe offerta quando avrei aperto la finestra della stanza d’albergo che mi era stata riservata a Villa Athena. Non mi sarei aspettato tanta bellezza. Giunto nel tardo pomeriggio a Villa Athena, mi ero limitato a depositare il bagaglio, fare una doccia, rivestirmi e uscire frettolosissimamente per raggiungere il mio ospite, ma non avevo pensato ad aprire la finestra, né tantomeno avevo ragionato sull’orientamento e sulla disposizione della camera. Meglio così: se avessi aperto quelle imposte e avessi ragionato sui due elementi, la sorpresa quella notte non sarebbe stata così “violenta”. All’apertura della finestra fui letteralmente investito dal lato lungo settentrionale del Tempio della Concordia, splendido nella sua monumentalità e nel colore della pietra locale, recante sorta di iridescenze tendenti all’arancio e sapientemente provocate dall’illuminazione artificiale.


Agrigento. Valle dei Templi.
Il tempio della Concordia
(lati settentrionale e occidentale)
Anche disteso sul letto avevo agio di contemplare quella che al momento mi sembrava un’immagine onirica, immerso peraltro com’ero fra gli effluvi del vino abbondantemente consumato durante la cena (svoltasi sullo spiazzo antistante la casa natale di Luigi Pirandello). Mentre guardavo quello spettacolo (e lottavo contro il sonno perché avrei preferito continuare a contemplare il tempio fino all’alba in quel notturno "miracolosamente" generatosi), mi sembrò di comprendere meglio che cosa Pirandello avesse inteso significare con le parole «maestosi ed aerei sull’aspro ciglione», riferite ai templi che contemplava verosimilmente dal Kaos.

Porto Empedocle (AG)
(veduta diurna dal Kaos)
Il motivo per cui ho riportato dettagliatamente simili ricordi è presto spiegato. Quella giornata sancì ufficialmente il mio rapporto di profondissimo amore con un luogo che avevo già avuto modo di apprezzare e dal quale mi ero sempre sentito terribilmente attratto. Le sensazioni di quella giornata mi portarono a fissarlo indelebilmente nella mia anima. Peraltro un paio di ore prima della scoperta del "miracolo", mentre percorrevo il sentiero fra la casa e la pietra tombale (era buio: si avvicinavano le 22:00), proprio a ridosso del vallone argilloso che si distende a sud-ovest della casa pirandelliana, il mio ospite mi indicò Porto Empedocle: l’antico porto dell’antica Girgenti si presentava come un caleidoscopio di luci bianche e rosse magistralmente posizionato nella buia notte che copriva con il suo enorme manto di pesante broccato nero noi, Agrigento, il Kaos e lo stesso antico Porto Empedocle. L’ospite mi disse di fissare bene in mente quel paesaggio perché qualche giorno dopo lo avrei rivisto riprodotto su tela.

Lina Pirandello, "Ferrovia sotto al Kaos".
Olio su tela, 60 x 30 cm.
Collezione eredi Pirandello: Renata Marsili.
Agrigento. Contrada Kaos.
Casa natale di Luigi Pirandello
I versi seguenti sono tratti da una composizione molto più lunga, ironicamente e alquanto goliardicamente (sebbene io abbia tagliato le parti più goliardiche) indirizzata allo stesso ospite al quale intendevo chiedere almeno una riproduzione fotografica di quella tela (ho espunto anche la parte della richiesta). Ovviamente è un puro divertissement, peraltro ispirato alla «Commedia» dantesca tanto linguisticamente quanto tematicamente. Ma l’ho riletto con un certo piacere nel pomeriggio di oggi, quando — casualmente — l’ho ritrovato fra vecchi testi dimenticati sul mio hard disk. Non ricordavo affatto di averlo scritto. Il nome dell’artista autore del dipinto cui si accenna (che stimo moltissimo anche per le sue qualità umane) è volutamente taciuto. Preferirei che egli si rivelasse da sé, se mai leggerà queste righe, ma non è ovviamente obbligato a farlo.

Essendo un po' nostalgico d’umore,
patendo debolezza di cervello,
ricordo sempre con immensa gioia
la notte estiva al Parco Pirandello.
Memoria mai nemica fu di noia
come quella che esercita il rovello,
facendomi anelare il rivedere
di Girgenti sulfurea ‘l porto vecchio.
In buia notte, in atmosfere nere,
di Empedocle il Porto parea specchio
da cui virtuali promanavan sfere
di rosso-biancheggianti aerei soli.
Come il cantor di Enea al Ghibellino
mondano esplorator di eterei poli,
Tal disse a me con fare sibillino:
«Fissati in cuore questi aerei voli.
Vagherai meco su celesti vele
verso una casa ove rifulge l’arte.
Con man divina ivi dipigne tele
tal che di un don divino è messo a parte».
Al terzo dì dacché gustai quel miele,
Ei mi condusse una mattina seco
al cospetto dell’uom che col pennello
del Mesógheios fa riviver l’eco
e dell’Atlantico e d’ogni vascello
che forza d’imago conduca seco;
l’uom che alla tavolozza dona l’ali
plasmando viste tratte da ogni ponto
e dipingendo i porti commerciali:
vero Argonauta di nuovo Ellesponto.
Quel quivi aggiunse parole rituali:
«Qui ti condussi lontan dalle genti.
Mira il dipinto su quella parete:
il porto riconosci di Girgenti
che tre dì fa t’invescò nella rete.
Mira la porpora, i soli e gli argenti».
Della tela l’immagine e l’icona
della vista dal Letterario Parco
mi si fusero in mente ed or risuona
un desìo che giammai mi rese scarco,
che sempre in mente è vivo e rintrona:
vedere di Girgenti il porto antico
com’io lo vidi quella notte e quale
vita gli die' il pittor di cui dico.

Ivo Flavio Abela


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