sabato 29 luglio 2017

La bellezza tutta umana di Takashi Paolo Nagai nel suo «Le campane di Nagasaki»

«L'uomo non è che un giunco,
il più fragile di tutta la natura;
ma è un giunco pensante»

Blaise Pascal


Ho deciso di leggere «Le campane di Nagasaki» (ripubblicato da Luni Editrice nel 2014) attratto più dal titolo che dal tema. Ma ho fatto bene. L'autore, Takashi Paolo Nagai (1908 - 1951), era un radiologo nato in seno a una famiglia shintoista, convertito al cattolicesimo dopo avere letto Blaise Pascal e avere conosciuto Massimiliano Kolbe. Visse un lungo periodo della propria giovinezza studentesca presso i signori Moriyama, una coppia di sposi cristiani di cui sposò poi la giovane figlia Midori. A causa di un principio di meningite divenne sordo all'orecchio destro e non fu in grado di completare i suoi studi di Medicina (una volta diventato medico, del resto, non avrebbe potuto usare lo stetoscopio). Ripiegò su quelli di Radiologia. Visse in prima persona lo scoppio della bomba atomica sganciata su Nagasaki (precisamente sull'area settentrionale del quartiere di Urakami) il 9 agosto 1945, alle 11:02 (il 6 agosto era stata sganciata quella su Hiroshima).

Midori
Quella mattina, proprio mentre il cielo veniva attraversato da un nefasto B29 che s'avvicinava sempre più sinistramente, Takashi si trovava all'interno del Laboratorio di Radiologia dell'Università di Nagasaki. Tale circostanza fu la sua salvezza: il Laboratorio era schermato contro radiazioni anche molto potenti, al punto da risentire relativamente dei novemila gradi di temperatura che l'aria avrebbe raggiunto al momento della deflagrazione e della vicinanza all'ipocentro dello scoppio (fra i cinquecento e i settecento metri). Altrettanto fortunati furono i figli di Takashi poiché erano stati condotti qualche giorno prima a casa della suocera, distante circa sei chilometri dal paese. La povera Midori, allora trentasettenne, si trovava invece nella propria casa. L'11 agosto Takashi, finalmente giuntovi, rinvenne ciò che di lei era rimasto: un mucchio di ossa che egli avrebbe portato via in un secchio (e che avrebbero emesso del rumore curioso, urtando contro le pareti del contenitore, ricorda l'autore). Nel mucchio delle ossa anche il rosario di Midori, segno del fatto che la donna era morta mentre pregava (e dato che arrecò all'ormai convertito Takashi una blanda e rassicurante consolazione). Quarantamila persone furono del resto incenerite all'istante (altre sessantamila sarebbero morte nei giorni successivi), compresa quella studentessa che l'autore si sarebbe pentito di avere trattato freddamente quella stessa mattina, poco prima della catastrofe. Secondo Takashi, che aveva assunto il nome di Paolo in occasione del battesimo cristiano, la scelta di Nagasaki da parte degli americani era stata casuale in quanto determinata da un cambio di rotta dell'ultimo minuto. Però, aggiunge lo scrittore, risulterebbe singolare il fatto che proprio a Nagasaki viveva una comunità cristiana la quale non solo era la più cospicua del Giappone, ma era pure riuscita a mantenere integra se stessa e i propri usi lungo il susseguirsi delle generazioni.

Nessuno dei sopravvissuti rimase inattivo: tutti cominciarono immediatamente a dare aiuto. Toccante è il senso di solidarietà e di amore nei confronti dei propri simili spirante dalle azioni di chi, dimentico di se stesso, delle condizioni proprie e di quelle dei parenti prossimi lasciati a casa, si prodigava per soccorrere chi stava peggio nelle immediate vicinanze. Enorme la pietà nei confronti dei tantissimi mucchi di ossa e cenere che erano stati, fino a poco prima, uomini e donne. Terribili le realistiche e impietose descrizioni degli effetti delle radiazioni sui sopravvissuti, a partire dai veri e propri "arabeschi" letteralmente impressi a fuoco sulla loro pelle, e spesso replicanti il disegno della trama o dei motivi decorativi del tessuto che aveva vestito quella stessa epidermide fino al momento della deflagrazione.

Nei giorni immediatamente successivi, lo stesso Takashi iniziò a visitare, con l'aiuto della sua équipe, tutte le famiglie dei borghi circostanti. Non si fermò per ben cinquantotto giorni. Infine, mentre la leucemia che gli era stata diagnosticata già da giugno lo attaccava in modo sempre più serrato, egli decise di stabilirsi a Urakami in una sorta di baracca di
Takashi Paolo Nagai con i figli Nakoto e Kayano
pochi metri quadrati, costruita con i materiali che una volta erano stati parte della casa che lo aveva accolto insieme a Midori. Volle che la nuova residenza assumesse il nome di Nyokodo («come te stesso» con riferimento al noto monito evangelico). Vi sarebbe rimasto insieme ai due figli fino al 1951, cioè fino alla morte che lo coglierà all'età di quarantatré anni. Fu padre tenero e amorevole, almeno per ciò che era nelle sue possibilità (una notte - egli racconta - «Kayano si mosse fra le mie braccia e, istintivamente, le sue manine cercarono il mio petto. Ma quando, nel dormiveglia, si rese conto che non era quello il dolce seno materno, si mise a piangere, piano, per non farsi sentire, e si riaddormentò piangendo»).

Le macerie della Cattedrale di Urakami
«Le campane di Nagasaki» va letto (nonostante il fatto che due dei vari capitoli risultino freddi e didascalici: l'uno illustra il funzionamento di una bomba atomica mediante talune considerazioni anche sopra le righe, l'altro riguarda gli effetti che la radioattività avrebbe avuto a lungo termine sulla popolazione di Nagasaki). Ma va soprattutto meditato: si veda, in particolare, l'appassionato discorso che Takashi avrebbe pronunciato durante la commemorazione funebre delle vittime. Non è un libro di morte o sulla morte, ma un saggio narrativo e riflessivo sulla speranza e sulla rinascita. Non a caso le campane rimaste sepolte sotto le macerie della cattedrale di Urakami, prontamente recuperate dai giovani Ichitaro ed Iwanaga, tornarono a suonare la notte di Natale del 1945 e quindi, dal sorgere del sole dell'indomani, suonarono ogni giorno (avevano taciuto per tutta la durata della guerra): «Nessuno più, fino al mattino che vedrà la consumazione dei secoli, impedisca loro di benedire l'umana fatica, di annunciare la pace di un altro giorno» si augura del resto la luminosa anima di Nagai.

Ivo Flavio Abela


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