Quando lessi, navigando su Internet, le prime recensioni su «Il destino del papa russo» di Mauro Mazza, decisi di acquistare il libro poiché mi attrae tutto ciò che parla della Russia. Così come la possibilità - al momento piuttosto fantascientifica - che un giorno possa essere eletto un pontefice russo. Dunque ordinai il libro, pur non aspettandomi di leggere un capolavoro di narrativa (di regola mi riesce difficile trovare un giornalista che sia anche un vero scrittore).
La storia in sintesi. Papa Bergoglio è morto. Viene convocato il conclave, ma i signori cardinali non riescono ad accordarsi sul nome di qualcuno che valga la pena eleggere e che sia capace di guidare la Chiesa in un'epoca talmente complessa: quella in cui si tenta di far trionfare il Nuovo Ordine Mondiale, con la complicità della Massoneria che campeggia in alcuni luoghi del libro, a partire da un prologo in cui un cosiddetto Referente controlla sistematicamente (minuto per minuto), anche grazie a una serie di monitor disposti alla sinistra dell'ingresso della stanza in cui lavora, tutto ciò che avviene nel mondo, ma soprattutto nel cuore di questo conclave al quale stanno partecipando tre cardinali segretamente massoni.
Per evitare che il conclave si protragga, col rischio di dare ai cattolici - esternamente - la sensazione che il collegio cardinalizio sia spezzato, uno dei cardinali esprime un'idea risolutiva: far venire a Roma l'arcivescovo russo di San Pietroburgo, amico fin dall'adolescenza di Vladimir Putin, ed eleggerlo pontefice in nome di un regolamento formalizzato da Giovanni Paolo II nel 1998 (sulla base del quale non è necessario che debba essere eletto pontefice esclusivamente un cardinale).
L'arcivescovo accetta e raggiunge Roma il giorno dopo avere ricevuto la comunicazione, dopo avere compiuto un'ultima, nostalgica passeggiata per le vie della città russa. Viene dunque annunciato l'«Habemus Papam» e non passa inosservato il fatto che non venga pronunciata, nel corso dell'annuncio, la parola «cardinalem», ma - correttamente - «archiepiscopum».
Noia. Ritmo lento ed estenuante. Tutti sembrano nuotare in un mare di difficoltà, compresa la Massoneria che appare affetta dalla stessa "minchionerìa" della quale don Rodrigo risulta malato nel romanzo manzoniano (e che denuncia - nel suo caso - un'impotenza forse fisiologica più che metaforica).
Alla fine non si può fare altro che ammazzarlo questo papa Metodio, soprattutto quando (dopo un incontro segreto con il patriarca Kirill di Mosca) fa trasparire il progetto di una riunificazione della Chiesa Cattolica con quella Ortodossa, con grave scorno per la Massoneria minchiona. E pure per gli States.
Inutile dire quanto tutto ciò ricordi la morte di Albino Luciani, peraltro spesso citato dall'autore, anche per la menzione del metropolita russo ortodosso Nikodim, morto realmente fra le braccia di papa Giovanni Paolo I (durante un colloquio forse finalizzato a comunicare al pontefice il suo passaggio alla fede cattolica). Singolare risulta poi il fatto che l'autore premetta al libro un elenco dei personaggi (anche alquanto nutrito). Io - lettore ingenuo... - ho pensato: «Vuoi vedere che questo è un romanzo polifonico, in puro stile tolstojano?». Se tale fosse la presunzione dell'autore, ebbene... il fallimento risulterebbe ancora più evidente.
Una grande bluff. Enorme. Frutto del più bieco noir impastato di infantile complottismo. Chi mi risarcisce ora 16.00 euro?
Ivo Flavio Abela