domenica 8 settembre 2024

«Dimenticami dopodomani» di Andrea Di Consoli

«Dimenticami dopodomani» (Rubbettino, 2024) costituisce il ritorno alla scrittura di Andrea di Consoli, ritorno voluto da Mario Desiati (che firma l’introduzione), maturato durante il lockdown, attuato tra la fine del 2022 e gli inizi del 2024. È un testo non collocabile in uno specifico genere: è diario riflessivo, autobiografia, romanzo; è prosa poetica (s’individuano endecasillabi e settenari, sebbene il verso resti prevalentemente libero), poesia che scorre come prosa, collana di frammenti. Forse non è nemmeno tutto ciò. È la narrazione di una vita: quella di un uomo che ha superato i quarant’anni, ma ne ha vissuti molti di più e dichiara di essere giunto alla terza età. Eppure il suo scopo non è raccontare vicende autobiografiche, semmai spiegare come egli sia pervenuto a uno stato inedito di felicità.

“Felicità” è parola strana fin dalla sua definizione e potrebbe fuorviare un lettore che non ignora le frasette ad effetto spesso riportate sulle cartine di celebri cioccolatini. Ma non è quella la felicità cui Di Consoli allude, ricordando anzi che nell’ambiente umile e povero in cui viveva da ragazzo tale parola non veniva nemmeno pronunciata: non faceva parte del vocabolario della povera gente. Col tempo Andrea ha compreso che la felicità è la vita stessa, pur nelle sofferenze che essa implica. Fin dall’incipit l’autore dichiara (quasi polemicamente) di essere sempre stato reputato uno scrittore «pessimista, triste, disperato», ma «la gente disperata è disperata perché ama la vita, e vorrebbe che non finisse mai»: «quando sto per cadere, quando provo dolore, io sono felice». Andrea è “felice” anche quando osserva ciò che fa l’altro perché sa vedere “oltre” le azioni del prossimo. L’altro è fatto di quello stesso humus di cui l’autore è fatto (e noi siamo fatti): perciò Di Consoli lo ama. Amare l’altro (provare compassione, in accezione etimologica) per l’altro è la chiave per perdonare se stessi e per riflettere sui propri fallimenti senza più condannarli, né condannarsi. 

Quell’amore rende “il male di vivere” accettabile, tollerabile, quasi lecito, anche se permane la consapevolezza che di questa vita rimarrà un giorno poco, anzi nulla: forse solo qualche traccia nella quale non tutti si imbatteranno o in cui qualcuno s’imbatterà casualmente, come avviene all’autore quando osserva le figure che popolano vecchie foto degli inizi del Novecento, foto che egli ama procurarsi. Andrea confessa la propria debolezza: il timore di sparire definitivamente dal mondo senza lasciare traccia di sé nella memoria dei posteri. Riprendendo le parole di una donna conosciuta casualmente una notte, invita il prossimo a non dimenticarlo domani, ma appunto dopodomani, quasi a significare: «Lasciatemi vivere in voi ancora un po’, quando non ci sarò più. Ricordatemi per un po’. Non cancellatemi subito».

Qui si evita di citare interi gruppi di versi che pure andrebbero riferiti a conferma della ricchezza delle riflessioni di Andrea (la repulsione per la fierezza ostentata da chi ritiene di avere ottenuto una rivincita sociale, la solitudine inevitabile, l’incapacità di perdonarsi, il sonno in cui si rifugia colui che soffre, la difficoltà di essere genitore, la bellezza dei figli che fioriscono e tanto altro), ma il lettore leggerà tutto da sé. A chi scrive rimangono particolarmente impressi i ritratti dell’ex suocero Vittorio Picone e del celebre latinista Luca Canali: autentici camei di bellezza e di humanitas. Ci si augura che, al pari dell’autore, anche questo libro non venga dimenticato perché può insegnarci a vivere meglio.

Ivo Flavio Abela



domenica 7 gennaio 2024

Tra incubi ancestrali e il sogno della Terra Promessa. "La ballata delle anime inutili" di Tommaso Avati

È il 1938. Nel Gargano una famiglia contadina vive la propria esistenza mantenendosi con quanto la terra produce. Per farla produrre servono maschi: preferibilmente figli, così da non dovere pagare eventuali lavoranti. Un padre votato al Fascismo, una madre morta e sepolta con l'abito della nuora tra le mani (non ne ha mai avuto uno al di fuori di quello che ha indossato fino alla morte: non proprio il massimo per portarselo nella bara), cinque figli (tanti quanti le dita di una mano) tutti maschi fuorché una cui si può ricollegare il titolo (un vero errore mai digerito dal padre: una femmina e pure incapace di fare qualsiasi cosa): vivono tutti (nuore e nipoti compresi) in una casa che all'unica figlia femmina sembra animata. L'abitazione comprende poche stanze e poi una, al piano superiore, in cui si può stare solo se si deve procreare (ma all'occorrenza anche quando si muore), dominata da un'immagine di San Giuseppe (il padre dei padri). Di tutto ciò narra il bellissimo La ballata delle anime inutili di Tommaso Avati (Neri Pozza, 2023).

Testo coinvolgente e magico soprattutto nelle prime due delle tre parti, magnetico e storicamente intrigante nella terza. Avati è stato abile appunto nel rendere il passaggio dalle atmosfere pregne di magia ancestrale delle prime due parti (la magia delle credenze popolari, della cultura contadina, della famiglia patriarcale, dell'idea popolare di morte), alla terza parte cronachistica e storica, quasi volesse condurre il lettore dall'alveo di un grembo materno (la casa in cui vive la famiglia patriarcale è tale insieme alla terra), dove tutto si perde nel liquido amniotico delle credenze ereditate dagli avi (le fave rendono più fertili le donne, per cui una delle nuore finisce per mangiarne fino a stare male e, in un parossistico delirio in cui bulimia e depressione si fonderanno, non avrà altra scelta che morire suicida), alla luce della storia (il dato storico della conversione all'ebraismo di una notevole quantità di famiglie nel Gargano, il campo delle displaced persons, la corsa affannata e non sempre facile verso la Palestina: il sogno della Terra Promessa per molti Ebrei "originali" e convertiti).

Tutto ciò viene realizzato mediante una lingua pulita, priva di sbavature e lontana dalla ricerca di effetti di sorta, serena, grazie alla quale si animano di poesia alcune immagini ricorrenti: quella del vento, per esempio, che sembra ora annunciare qualcosa, ora costringere a fare i conti con la propria coscienza. O certi temi che contribuiscono a conferire ritmo allo sviluppo della narrazione: quello delle parole, per citarne uno, e del senso, quasi ontologico, loro proprio. Avati dà del resto voce quasi a tutti i membri di questa famiglia: ciascuno racconta una parte delle vicende e ciò conferisce al narrato leggerezza. Non è necessario però rivelare altro.

Chi conosce la prova precedente di Tommaso Avati, il pure bellissimo Il silenzio del mondo (se n'è parlato qui: https://ivoflavio-abela.blogspot.com/2022/06/incomunicabilita-segni-parole-e-amore.html), si accorgerà del fatto che La ballata delle anime inutili è del tutto diverso e ciò ci dà la prova della disinvoltura con cui Tommaso riesce a muoversi in ambiti tematici profondamente diversi gli uni dagli altri, mantenendo però inalterata la capacità di rapire il lettore.

Ivo Flavio Abela