«L'eternità e un giorno» è un notissimo film diretto da Theo Anghelopoulos, alla cui sceneggiatura, tratta da un soggetto di Albert Camus, contribuirono Tonino Guerra e Petros Markaris. Fu premiato con la Palma d'Oro a Cannes nel 1988, sebbene le critiche non fossero poi state sempre positive: si rimproverava ad Anghelopoulos il presunto abuso di rimandi extratestuali che l'avrebbe condotto a realizzare nulla più di un garbato centone di citazioni (quasi Anghelopoulos fosse una sorta di Terenzio dei nostri giorni, capace solo di imbastire trame riciclando quanto in abbondanza la tradizione culturale greca gli offriva. Tale appunto ha spesso increspato la fama di più di un film del regista). In verità fin dalle prime battute pronunciate da Alexandros bambino e da sua madre (che precedono i titoli di testa e introducono lo spettatore in una dimensione in cui la temporalità si fonde ossimoricamente col suo opposto, immergendosi nel mito dell'infanzia e di una terra favolosa, cioè «la città antica»), la cifra distintiva del film è senz'altro la poesia nell'accezione etimologica della parola. E tale poesia investe violentemente la sfera emotiva dello spettatore, conducendolo lungo un percorso di sublime sofferenza che dura più di due ore e che si conclude, opportunamente, con una catartica risposta alla domanda relativa all'identità e al senso del domani.
- Alexandros, vieni! Andiamo sull'isola!
- Dove?
- Sull'isola! A tuffarci per vedere la città antica. Poi saliamo su in alto, sugli scogli e salutiamo le navi che passano.
- Cosa sai della città antica?
- Il nonno dice che era una città felice. Sprofondò per un terremoto. E da secoli dorme sul fondo del mare. A volte esce dalle acque solo per un istante: quando la stella del mattino ha nostalgia della terra. E si ferma a guardare.
Sono queste le battute incipitarie pronunciate da Alexandros bambino e dalla madre mentre sullo schermo appare la casa in cui Alexandros stesso (scrittore di successo adesso impegnato in un progetto destinato a rimanere soltanto tale, cioè il completamento della terza versione de «Οι Ελευθεροι Πολιορκημενοι», ovvero «I liberi assediati», di Dionysios Solomos) è vissuto durante l'infanzia e poi con la moglie Anna e la figlia Katerina. Ed è la casa che la figlia e l'arido genero vendono all'insaputa di Alexandros, quasi a scardinare la dimensione del mito in cui il protagonista è vissuto, venuto meno il quale Alexandros avrà forse una ragione in più per chiudersi in ospedale (dove si recherà l'indomani per affrontare la terribile malattia diagnosticatagli).
In tale cornice la dimensione temporale della giornata lungo la quale si snoda l'azione si dilata nuovamente mediante la regressione al 1967, ed in particolare alla giornata di festa organizzata per la presentazione ufficiale dell'appena nata Katerina ai parenti. Ed ecco Anna (Isabelle Renauld), donna di una dirompente ma ingenua sensualità sublimata nell'amore frustrato che prova per Alexandros, ecco i parenti, ecco lo stesso Alexandros che si rivede nei frangenti man mano ricordati (lo straordinario Bruno Ganz). Per tutto il film Alexandros rimane uguale a se stesso fin nell'abbigliamento - per la cronaca firmato da Giorgio Armani, come si apprende dai titoli di coda - caratterizzato da un avvolgente e fluente cappotto scuro che apparirà nella scena finale "vissuto", rovinato, bagnato. Alexandros è entelechia di se stesso: il "suo" tempo si è fermato (ammesso che sia mai scorso come avviene al tempo di tutti gli esseri umani), anzi cessa di esistere. Del resto il tempo stesso è solo «un bambino che gioca ai cinque sassi sulla riva del mare»: indifferente, innocente, indolore. Forse pura illusione.
La dimensione temporale continua a dilatarsi grazie anche all'alter ego di Alexandros, cioè il già citato poeta nazionale greco per eccellenza - suo è del resto il testo dell'inno nazionale greco - Dionysios Solomos (Zante, 8 aprile 1798 - Corfù, 9 febbraio 1857). Essendone stato inizialmente evocato il ricordo, Solomos finisce per materializzarsi, interpretato da Fabrizio Bentivoglio. Appare almeno tre volte. Inizialmente seduto presso una sorta di finestra (forse un richiamo al famigerato «Sognatore» di Caspar David Friedrich), poi lungo il fiume, infine su un autobus urbano (quella dell'autobus è una delle scene più suggestive del film) in cui reciterà all'indirizzo di Alexandros i seguenti versi:
«L’ultima bolla di rugiada all’alba
Annunciava un sole limpido.
Non c’era nuvola o bruma
Nell’orizzonte perduto nel cielo.
Venuto da lontano, il vento leggero
Soffiava lentamente sul volto.
Nel profondo del cuore sussurrava:
"Dolce è la vita... dolce è la vita..."»
(La traduzione italiana dei dialoghi è di Paola Maria Minucci, nota in Italia perché le si deve anche la stragrande parte delle traduzioni circolanti in italiano dei testi di Odysseas Elytis)
Il continuo rifarsi a Solomos è probabile indizio di quanto ad Aghelopoulos interessasse anche pronunciarsi su una questione linguistica: Alexandros incontra un bambino albanese, interpretato da Achilleas Skevis (con lui trascorre l'intera giornata cercando di tenerlo lontano dagli sfruttatori), e gli narra di Solomos. Gli dice che il poeta, vissuto per alcuni anni a Venezia, decide di tornare a Zante quando viene a sapere che i suoi compatrioti si sono ribellati agli ottomani. Tornatovi, gli si presenta un problema: non conosce più la propria lingua madre a sufficienza. Ed è implicitamente un dramma: significa essere condannato a rimanere straniero nella propria terra. Escogita però uno stratagemma: inizia a comprare parole dai contadini e dai pescatori. Le parole sono αβυσσο, μοσχοβολισμενη, δροσιά, πηγή, αηδόνια, ουρανός, κυμα, λιμνη, αγνωρον, ευωδιζει, άλαφροισκιωτε (cioè: abisso, fragranza, rugiada, sorgente, usignoli, cielo, onda, lago, ignaro, profumo, veggente dall'ombra lieve). Ogni parola che gli viene venduta egli appunta meticolosamente. E pian piano torna a impadronirsi del greco. Si badi: non si rivolge a uomini colti, ma a gente incolta e povera, quasi ad esprimere subliminalmente l'idea che una lingua vera debba essere popolare.
In effetti si intrecciano nel senso di quella compravendita di parole tanto il riferimento a un problema fortemente sentito da Solomos (che peraltro ebbe come punto di riferimento linguistico il nostro Foscolo neoclassico, tanto da riuscire perfettamente a poetare in lingua italiana e a sentirsi "italiano", pur percependo la difficoltà di una propria integrazione totale da greco nel contesto italiano e da "italiano" nel contesto greco), quanto il problema della formazione di una lingua poetica greca che fosse però nel contempo anche lingua di comunicazione (durante il colloquio con la propria madre ricoverata per problemi mentali in una casa di cura - in verità un monologo - Alexandros dirà di essere stato bene solo quando ha potuto usare la sua lingua. In seguito non più. E la propria vita è diventata un'esistenza fatta solo di progetti, ma non di realizzazioni. E purtroppo spesa solo nella condanna a marcire forse per non avere trovato nessuno che insegnasse a lui e alla madre ad amare). A tal proposito non sarà forse inutile ricordare che lo stesso Odysseas Elytis sottolineerà la paradossale difficoltà di essere poeta quando si dispone di una lingua ricchissima e stratificata - il greco appunto - in cui si è poetato ininterrottamente per venticinque secoli (lo farà durante il discorso pronunciato in occasione del ricevimento del Nobel nel 1979). Non è dunque un caso il fatto che Alexandros abbia precedentemente detto alla figlia Katerina che non è riuscito a concludere l'opera di Solomos perché gli sono mancate le parole. Il Solomos di Anghelopoulos e di Alexandros si schiera così a favore della dhimotikì (e dire che quest'ultima vincerà solo a partire dal 1976), cioè della lingua popolare.
Il "gioco" dell'acquisto delle parole viene anche messo in atto da Alexandros e dal bambino albanese. Ma le tre parole che il bambino vende ad Alexandros (κορφούλα μου, ξενίτης, αργαδινή, che indicano rispettivamente un'espressione di tenerezza insita nel rapporto madre-bambino, il sentirsi straniero ovunque, infine letteralmente il significato "molto tardi nella notte") costituiscono un sunto della parabola individual-esistenziale di Alexandros, quasi a significare che se Alexandros non ha avuto a disposizione le parole per concludere il testo di Solomos, ha almeno trovato quelle per individuare gli elementi salienti della propria vita. E quelle parole egli ripeterà infatti alla fine del film. La terza parola gli viene venduta quando Alexandros sta per separarsi dal bambino. Quest'ultimo sta per imbarcarsi verosimilmente alla volta di un destino migliore. Sembra un passaggio di consegne: si conclude la vita di Alexandros, fiorisce la speranza per quella del bambino (mi chiedo oggi se c'entri qualcosa James Joyce con la scelta di fare incrociare le vite di un uomo - che è figlio, marito e padre. Ma è solo - e di un bambino nell'arco di una giornata).
Ed ecco tornare la martellante domanda relativa all'identità del futuro. Le parole ... Con le parole Alexandros ha riportato in vita Anna. E ora lei lo attira a sé chiamandolo. «Tutto è verità. Tutto è attesa della verità». «Il domani, cosa è il domani, Anna? Una volta ti avevo chiesto quanto dura il domani». Ma non esiste domani per Alexandros. Perché il domani dura «un'eternità e un giorno».
Ivo Flavio Abela
Nota. La colonna sonora del film è di Eleni Karaindrou. Ma lungo lo svolgersi del film si dipanano motivi musicali notissimi a chi conosce la musica e la poesia greche contemporanee. Due in particolare - entrambi su musiche di Mikis Theodorakis - vanno qui ricordati: i versi del primo appartengono a «Άσμα ασμάτων» (qui interpretato da Maria Farantouri: https://www.youtube.com/watch?v=K9oXXboppqk), tratto dalla «Tριλογία για Μαουτχάουζεν» di Iakovos Kampanellis (poeta greco che subì l'orrore dei campi di concentramento), i versi del secondo appartengono invece a «Της αγάπης αίματα» (qui cantato da Yannis Kotsiras: https://www.youtube.com/watch?v=KQA9FdhIQSI), tratto da «Αξιον Εστί» di Odysseas Elytis. I testi e le traduzioni sono facilmente reperibili in rete. Questo è invece il link al tema principale della colonna sonora: https://www.youtube.com/watch?v=jdP7yYNt90U.
- Alexandros, vieni! Andiamo sull'isola!
- Dove?
- Sull'isola! A tuffarci per vedere la città antica. Poi saliamo su in alto, sugli scogli e salutiamo le navi che passano.
- Cosa sai della città antica?
- Il nonno dice che era una città felice. Sprofondò per un terremoto. E da secoli dorme sul fondo del mare. A volte esce dalle acque solo per un istante: quando la stella del mattino ha nostalgia della terra. E si ferma a guardare.
Sono queste le battute incipitarie pronunciate da Alexandros bambino e dalla madre mentre sullo schermo appare la casa in cui Alexandros stesso (scrittore di successo adesso impegnato in un progetto destinato a rimanere soltanto tale, cioè il completamento della terza versione de «Οι Ελευθεροι Πολιορκημενοι», ovvero «I liberi assediati», di Dionysios Solomos) è vissuto durante l'infanzia e poi con la moglie Anna e la figlia Katerina. Ed è la casa che la figlia e l'arido genero vendono all'insaputa di Alexandros, quasi a scardinare la dimensione del mito in cui il protagonista è vissuto, venuto meno il quale Alexandros avrà forse una ragione in più per chiudersi in ospedale (dove si recherà l'indomani per affrontare la terribile malattia diagnosticatagli).
In tale cornice la dimensione temporale della giornata lungo la quale si snoda l'azione si dilata nuovamente mediante la regressione al 1967, ed in particolare alla giornata di festa organizzata per la presentazione ufficiale dell'appena nata Katerina ai parenti. Ed ecco Anna (Isabelle Renauld), donna di una dirompente ma ingenua sensualità sublimata nell'amore frustrato che prova per Alexandros, ecco i parenti, ecco lo stesso Alexandros che si rivede nei frangenti man mano ricordati (lo straordinario Bruno Ganz). Per tutto il film Alexandros rimane uguale a se stesso fin nell'abbigliamento - per la cronaca firmato da Giorgio Armani, come si apprende dai titoli di coda - caratterizzato da un avvolgente e fluente cappotto scuro che apparirà nella scena finale "vissuto", rovinato, bagnato. Alexandros è entelechia di se stesso: il "suo" tempo si è fermato (ammesso che sia mai scorso come avviene al tempo di tutti gli esseri umani), anzi cessa di esistere. Del resto il tempo stesso è solo «un bambino che gioca ai cinque sassi sulla riva del mare»: indifferente, innocente, indolore. Forse pura illusione.
Caspar David Friedrich «Il sognatore» |
«Καθαρώτατον
ἥλιο ἐπρομηνοῦσε
τῆς
αὐγῆς τὸ δροσᾶτο ἀστέρι,
σύγνεφο,
καταχνιά, δὲν ἀπενοῦσε
τ᾿
οὐρανοῦ σὲ κανένα ἀπὸ τὰ μέρη·
καὶ
ἀπὸ ‘κεῖ κινημένο ἀργοφυσοῦσε
τόσο
γλυκὸ στὸ πρόσωπο τ᾿ ἀέρι,
ποὺ
λὲς καὶ λέει μὲς τῆς καρδιᾶς τὰ φύλλα·
"γλυκειὰ ἡ ζωή κι᾿... γλυχιά η
ζωή..."»«L’ultima bolla di rugiada all’alba
Annunciava un sole limpido.
Non c’era nuvola o bruma
Nell’orizzonte perduto nel cielo.
Venuto da lontano, il vento leggero
Soffiava lentamente sul volto.
Nel profondo del cuore sussurrava:
"Dolce è la vita... dolce è la vita..."»
(La traduzione italiana dei dialoghi è di Paola Maria Minucci, nota in Italia perché le si deve anche la stragrande parte delle traduzioni circolanti in italiano dei testi di Odysseas Elytis)
Il continuo rifarsi a Solomos è probabile indizio di quanto ad Aghelopoulos interessasse anche pronunciarsi su una questione linguistica: Alexandros incontra un bambino albanese, interpretato da Achilleas Skevis (con lui trascorre l'intera giornata cercando di tenerlo lontano dagli sfruttatori), e gli narra di Solomos. Gli dice che il poeta, vissuto per alcuni anni a Venezia, decide di tornare a Zante quando viene a sapere che i suoi compatrioti si sono ribellati agli ottomani. Tornatovi, gli si presenta un problema: non conosce più la propria lingua madre a sufficienza. Ed è implicitamente un dramma: significa essere condannato a rimanere straniero nella propria terra. Escogita però uno stratagemma: inizia a comprare parole dai contadini e dai pescatori. Le parole sono αβυσσο, μοσχοβολισμενη, δροσιά, πηγή, αηδόνια, ουρανός, κυμα, λιμνη, αγνωρον, ευωδιζει, άλαφροισκιωτε (cioè: abisso, fragranza, rugiada, sorgente, usignoli, cielo, onda, lago, ignaro, profumo, veggente dall'ombra lieve). Ogni parola che gli viene venduta egli appunta meticolosamente. E pian piano torna a impadronirsi del greco. Si badi: non si rivolge a uomini colti, ma a gente incolta e povera, quasi ad esprimere subliminalmente l'idea che una lingua vera debba essere popolare.
In effetti si intrecciano nel senso di quella compravendita di parole tanto il riferimento a un problema fortemente sentito da Solomos (che peraltro ebbe come punto di riferimento linguistico il nostro Foscolo neoclassico, tanto da riuscire perfettamente a poetare in lingua italiana e a sentirsi "italiano", pur percependo la difficoltà di una propria integrazione totale da greco nel contesto italiano e da "italiano" nel contesto greco), quanto il problema della formazione di una lingua poetica greca che fosse però nel contempo anche lingua di comunicazione (durante il colloquio con la propria madre ricoverata per problemi mentali in una casa di cura - in verità un monologo - Alexandros dirà di essere stato bene solo quando ha potuto usare la sua lingua. In seguito non più. E la propria vita è diventata un'esistenza fatta solo di progetti, ma non di realizzazioni. E purtroppo spesa solo nella condanna a marcire forse per non avere trovato nessuno che insegnasse a lui e alla madre ad amare). A tal proposito non sarà forse inutile ricordare che lo stesso Odysseas Elytis sottolineerà la paradossale difficoltà di essere poeta quando si dispone di una lingua ricchissima e stratificata - il greco appunto - in cui si è poetato ininterrottamente per venticinque secoli (lo farà durante il discorso pronunciato in occasione del ricevimento del Nobel nel 1979). Non è dunque un caso il fatto che Alexandros abbia precedentemente detto alla figlia Katerina che non è riuscito a concludere l'opera di Solomos perché gli sono mancate le parole. Il Solomos di Anghelopoulos e di Alexandros si schiera così a favore della dhimotikì (e dire che quest'ultima vincerà solo a partire dal 1976), cioè della lingua popolare.
Il "gioco" dell'acquisto delle parole viene anche messo in atto da Alexandros e dal bambino albanese. Ma le tre parole che il bambino vende ad Alexandros (κορφούλα μου, ξενίτης, αργαδινή, che indicano rispettivamente un'espressione di tenerezza insita nel rapporto madre-bambino, il sentirsi straniero ovunque, infine letteralmente il significato "molto tardi nella notte") costituiscono un sunto della parabola individual-esistenziale di Alexandros, quasi a significare che se Alexandros non ha avuto a disposizione le parole per concludere il testo di Solomos, ha almeno trovato quelle per individuare gli elementi salienti della propria vita. E quelle parole egli ripeterà infatti alla fine del film. La terza parola gli viene venduta quando Alexandros sta per separarsi dal bambino. Quest'ultimo sta per imbarcarsi verosimilmente alla volta di un destino migliore. Sembra un passaggio di consegne: si conclude la vita di Alexandros, fiorisce la speranza per quella del bambino (mi chiedo oggi se c'entri qualcosa James Joyce con la scelta di fare incrociare le vite di un uomo - che è figlio, marito e padre. Ma è solo - e di un bambino nell'arco di una giornata).
Ed ecco tornare la martellante domanda relativa all'identità del futuro. Le parole ... Con le parole Alexandros ha riportato in vita Anna. E ora lei lo attira a sé chiamandolo. «Tutto è verità. Tutto è attesa della verità». «Il domani, cosa è il domani, Anna? Una volta ti avevo chiesto quanto dura il domani». Ma non esiste domani per Alexandros. Perché il domani dura «un'eternità e un giorno».
Ivo Flavio Abela
Nota. La colonna sonora del film è di Eleni Karaindrou. Ma lungo lo svolgersi del film si dipanano motivi musicali notissimi a chi conosce la musica e la poesia greche contemporanee. Due in particolare - entrambi su musiche di Mikis Theodorakis - vanno qui ricordati: i versi del primo appartengono a «Άσμα ασμάτων» (qui interpretato da Maria Farantouri: https://www.youtube.com/watch?v=K9oXXboppqk), tratto dalla «Tριλογία για Μαουτχάουζεν» di Iakovos Kampanellis (poeta greco che subì l'orrore dei campi di concentramento), i versi del secondo appartengono invece a «Της αγάπης αίματα» (qui cantato da Yannis Kotsiras: https://www.youtube.com/watch?v=KQA9FdhIQSI), tratto da «Αξιον Εστί» di Odysseas Elytis. I testi e le traduzioni sono facilmente reperibili in rete. Questo è invece il link al tema principale della colonna sonora: https://www.youtube.com/watch?v=jdP7yYNt90U.