«come la trama che disegna il ragno
sopra la tela è la geometrica
tensione a tessere il cammino della vita»
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Ricorre in più di un luogo, nel testo in discussione, il rapporto fra lo spazio (e la velocità) e il tempo. In «Non cedere», per esempio, la velocità di un treno che, nella sua corsa, avanza lungo una linea ortogonale rispetto a quella percorsa dal «verbo del tempo», smorza l'attesa. E l'atmosfera da stazione ferroviaria torna in «Per amor di sé», in cui il rapido avanzare dei treni giunge fino al deragliamento implicito nella fuga «da una logica binaria», in un complesso di pensieri, immagini ed anche sensazioni uditive, come lo «stridore di una cantilena» (nient'altro - forse - che la cantilena delle ruote che frenano sulle rotaie, restituendoci un fermo-immagine della vita).
E del resto, il fatto che le sensazioni uditive siano fortemente volute dall'autore è testimoniato, ancora in «Per amor di sé», dal gioco dei richiami fonico-morfologici, quali la sequenza di «astenia», «afasia», «nenia» (che quasi verrebbe voglia di leggere accentando la i), «disbasia»; ma anche la sequenza «balba», «falba», nonché «sera», «tiritera». Così come significativo, per fare un altro esempio, è il graduale divenire fono-morfologico ravvisabile, in «Lungo il muro», nella sequenza vagamente circolare «musica > muschio > schiocca». E ancora in «Belligeranza» i «comandi di cheti appostamenti / sulle schermate degli scherani [...] con andamento lento di schermaglie» inducono nel lettore una sorta di straniamento ipnotico.
Non mancano poi echi che ci portano indietro nella storia della poesia italiana: la «petrosità» di uno dei testi sembra richiamare il Dante appunto petroso, il «bubbolio» di un altro fa quasi fisiologicamente tornare in mente la descrizione del temporale di una nota poesia pascoliana, «anime animali e gente» di «Là» forse contiene reminiscenze foscoliane e ancora dantesche. Tali echi sembrano rispondere al principio secondo cui la ricostruzione del senso e delle forme (in filologia) colma il vuoto lasciato dal tempestoso inverno della memoria (e dunque dalla distruzione implicita nella dimenticanza), fino a far rinascere il canto, come Soldini osserva in «Dove scoliasti»; del resto la dimenticanza stessa è sempre in agguato, soprattutto nel secolo breve: la definizione di Hobsbawn ritorna in «Aporia di un secolo passato», in cui del resto Soldini insiste sullo scorrere della vita cosmica delle età, cioè sul passare degli anni e dei secoli. In esso sembra riassorbirsi il passare della vita degli uomini, su cui l'autore si è soffermato in alcuni dei testi precedenti.
Ivo Flavio Abela